Nell’ultimo decennio, sempre più frequentemente la gestione della sicurezza è stata legata al concetto di cultura della sicurezza. Cultura della sicurezza come obiettivo, cultura della sicurezza come indicatore, come fattore descrittivo di un contesto organizzativo in relazione a un andamento infortunistico, a un comportamento prerogativa di un dato gruppo.
Questa tendenza è in qualche modo rappresentativa della naturale evoluzione storica del safety management che sempre più ricerca le proprie prospettive di lavoro e miglioramento nell’interiorizzazione del concetto di sicurezza come valore condiviso da parte di tutti coloro che costituiscono un’organizzazione e i diversi team sono tra loro interdipendenti.
Così oggi è relativamente semplice trovare numerose definizioni di cultura della sicurezza e, allo stesso tempo, relativamente complesso trovare modelli e metodi di lavoro che il safety manager possa adattare in modo efficace al proprio contesto operativo.
Se si pensa al fatto che le definizioni sono basate sui concetti di valori e attitudini che in una data organizzazione influenzano i comportamenti e le decisioni in materia di sicurezza, la mancanza di modelli universali può risultare del tutto naturale: la cultura della sicurezza è propria di una data organizzazione, si sviluppa e si esprime in modo diverso in ogni contesto operativo. Ciò che conta è essere consapevoli di quale sia quella della propria organizzazione, conoscerne i fattori caratterizzanti e avere contezza di quale sia il relativo grado di maturità, eventualmente in relazione a contesti operativi assimilabili al proprio nell’ambito di un benchmark virtuoso.
Cosa è la cultura della sicurezza nell’organizzazione in cui lavoro? Quali sono i fattori che la caratterizzano e la determinano? In che modo influenza la capacità della mia organizzazione di stabilire e raggiungere obiettivi efficaci ai fini della sicurezza?
Si tratta di quesiti generali la cui risposta non sempre è semplice, immediata e soprattutto univoca. Porseli, porli al proprio team o più in generale al management può rappresentare il punto di partenza di un percorso verso il miglioramento dei propri sistemi e metodi di gestione quindi dei risultati. Un percorso non scontato, certamente proficuo.
L’esercizio è utile per qualunque organizzazione e ancor di più per le organizzazioni complesse in cui funzioni e attività si esplicano in modo trasversale tra realtà operative diverse. Ogni organizzazione ha la sua cultura della sicurezza ma non è difficile, in contesti di questo tipo, che ne esista più d’una e quindi nessuna davvero rappresentativa dell’azienda.
Cercare i fattori caratterizzanti il modo in cui i principi e il valore della sicurezza sono messi in pratica nel lavoro quotidiano può appunto non essere semplice ma è certamente illuminante, vale la pena di farlo.
Il passo successivo è comprendere quale sia il grado di maturità di tali fattori rispetto agli obiettivi della sicurezza del lavoro nella propria realtà organizzativa e più in generale rispetto agli obiettivi di miglioramento. Anche compiere questa misurazione non è semplice in riferimento a diversi metodi e modelli esistenti in letteratura, nessuno dei quali può dirsi universale e adatto a tutte le situazioni. Allora, qualunque sia il metodo scelto per svolgerla (consultazione dei lavoratori tramite sondaggi interni, raccolta e analisi di indicatori specifici, consultazione di terze parti, ecc.) è in primo luogo essenziale scegliere gli indicatori più rappresentativi del proprio contesto (più nello specifico, dei valori e delle attitudini che stanno alla base dei comportamenti, delle decisioni e quindi della performance).
Tra questi, in funzione del grado dell’entità del sistema di gestione adottato, potrebbe essere utile considerare:
– gli indicatori di performance della gestione della sicurezza (il numero di eventi infortunistici e incidentali, le tendenze e quanti altri ’organizzazione adotta e tiene in considerazione);
– il numero di segnalazioni ricevute dai lavoratori (near misses, incidenti, segnalazioni di condizioni non sicure);
– i metodi e i criteri di classificazione degli eventi e la presenza di specialisti incaricati di occuparsi dei diversi ambiti (sicurezza occupazionale, sicurezza di processo, ecc.);
– il numero e la qualità delle verifiche di ambienti e processi svolte;
– il numero e la qualità delle behavioral safety visit svolte dai manager;
– il numero di behavioral safety visit svolte dal top management;
– le iniziative e i progetti svolti in ambito HSE per migliorare condizioni di lavoro e processi;
– le modalità di gestione dei fornitori (identificazione e qualifica dei fornitori critici, audit presso fornitori, gestione e seguito delle non conformità, ecc.);
– il processo di formazione e qualifica dei lavoratori;
– gli output delle verifiche interne e di terza parte;
– i metodi di comunicazione nell’ambito dell’organizzazione;
– il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori nella gestione della sicurezza.
L’analisi di questi e altri fattori in relazione agli obiettivi propri dell’organizzazione e a criteri oggettivi per la valutazione della cultura della sicurezza, può portare a comprendere quanto questa sia radicata, matura e incisiva nell’ambito dell’organizzazione in esame.
Così si potrà meglio inquadrare il contesto, e identificare le priorità e i margini di azione, si potrà meglio programmare attività e iniziative allocando le risorse disponibili facendo della cultura della sicurezza uno strumento che si rafforza man mano che viene usato.
Domenico Santoro
Fonte: PDE, n. 58
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